Emirati Arabi Uniti
Il caldo secco del deserto era violento come quello di un altoforno. Correnti discendenti di aria arroventata sollevavano la polvere della pianura rocciosa creando spirali sempre più ampie che finivano per crollare sotto il loro stesso peso, scomparendo così come si erano formate. Il cielo era una cupola cerulea che dominava la terra spoglia, leggermente offuscata a occidente, dove l’estremo confine di Rub’ al Khali, l’immenso ‘quarto vuoto’ del deserto arabo, incontrava le acque del Golfo Persico. Il paesaggio era desolato e lunare, con pochissima vegetazione, qualche pianta di acacia erioloba, l’acacia delle giraffe, e qualche cespuglio di salvia. Le rocce affioranti erano talmente bruciate dal sole che si spaccavano come frutti troppo maturi.
La terra era una tavolozza di mille sfumature di colori: dal bianco accecante delle dune di sabbia che avanzavano in onde sinuose verso l’orizzonte lontano, al nero assoluto delle montagne di Hajar oltre il confine con l’Oman, ma la sabbia era dominata dal rosa dell’ossido di ferro. Era come se il deserto stesse arrugginendo. Verso la fine del pomeriggio la temperatura era di quarantacinque gradi e con il calare della sera sarebbe scesa solo di qualche grado.
Il Khamsin, il vento caldo che infuoca l’estate e impazza sulla terra riarsa era ancora vigoroso nonostante la stagione avanzata. Rastrellava la superficie scavandola e modellandola come faceva da cento milioni di anni. Forgiava un ambiente spietato che tollerava solo le specie più resistenti.
Il principe Khalid Al-Khuddari stava in piedi fiero in mezzo al deserto, mentre il calore brutale faceva affiorare un velo di sudore sotto il cotone leggero della sua sahariana. Era una creatura del deserto, dura, inclemente e dannatamente bella come la terra che lo circondava. Era di carnagione chiara, ma il tempo trascorso nel deserto lo aveva reso più scuro, tingendogli di mogano il volto e le braccia. Gli zigomi erano alti e decisi, e il naso aquilino creava una somiglianza con il volto di un indiano d’America, a cui contribuivano anche i capelli folti e nerissimi come gli occhi.
Era alto più di un metro e ottanta e aveva un portamento eretto e vigile. Attraverso il collo sbottonato della casacca si vedeva il petto, liscio e glabro come quello di un ragazzo, ma muscoloso e possente. Aveva l’addome asciutto come quello di un levriero, ma increspato come il letto di un torrente. Teneva la mano sinistra all’altezza del petto, con il gomito piegato in modo da poter osservare la creatura appollaiata sul suo polso inguantato. Se c’era un animale che rappresentava l'essenza di Khalid Al-Khuddari, quello era il falco sacro che gli stringeva il braccio così forte con i suoi artigli che poteva sentirne le punte forare il guanto da falconiere.
Il falco sacro, la seconda specie più grande dei falconidi, era alto circa cinquanta centimetri ed era di colore rossiccio con la testa chiara. Il becco era affilato e ricurvo fino quasi a toccargli il petto, ed era mortale come una scimitarra. Tra tutte le creature, era probabilmente quella dotata della vista più acuta. Era noto per essere un cacciatore eccezionale, con una determinazione e un coraggio che lo avevano reso una vera leggenda.
Usato nella falconeria da generazioni, da prima che venisse addomesticato il cavallo, il falco sacro è l’animale che vanta la più lunga storia di convivenza con l'uomo, ad eccezione del cane. Considerato lo sport dell'élite aristocratica europea alla quale era giunto tramite le Crociate, la falconeria è parte della cultura araba tanto quanto lo sono i cinque pilastri dell'Islam. In Occidente è stata quasi abbandonata a causa dell'emotività eccessiva del movimento per i diritti degli animali, ma nei paesi del Golfo la falconeria è molto diffusa. Passatempo per i ricchi così come per i poveri. Khalid l'aveva imparata da un beduino del deserto, un anziano di una delle tribù che vagavano nella penisola araba sin da prima che il Profeta avesse udito la parola di Dio.
Quel falco, una femmina chiamata Sahara, era in un momento di calma e ascoltava le parole suadenti del suo padrone, con la testa incappucciata in una cappa di cuoio decorato che le impediva di spiccare il volo fino a quando Khalid non fosse pronto a cacciare con lei. I geti di cuoio fissati attorno alle zampe, sulla parte glabra subito al di sopra degli artigli, la tenevano legata al guanto di Khalid. Lui le accarezzava le ali e l’uccello rispondeva con un verso sommesso di profondo appagamento, proprio come un gattino quando fa le fusa.
“Sei pronta, tesoro?” chiese Khalid al rapace, con il volto così vicino al corpo del volatile che questi si spostò leggermente facendo tintinnare i campanellini che aveva legati alle caviglie. Khalid si sentiva come se fosse stato da solo nel grande deserto insieme al suo falco, ma non era così. Dietro di lui, seduti sotto una tenda candida, quaranta invitati lo osservavano dai tavoli che aveva allestito proprio per farli assistere alla caccia. Lui e i suoi ospiti avevano appena finito il pranzo a base di agnello arrostito sul fuoco, formaggi dall’aroma pungente e datteri, annaffiando tutto con champagne francese. Molti dei presenti provavano l’ebbrezza delle antiche tradizioni tribali. Per loro, abituati all’onnipresente aria condizionata di Abu Dhabi, quel pomeriggio nel deserto era una grande avventura, dimenticandosi però che qualcuno aveva montato la tenda per loro e che c’era un piccolo esercito di servitori che controllava che il loro bicchiere non restasse vuoto. Le loro radici erano state soffocate dall’influsso occidentale che aveva inondato il paese dopo che nel 1958 era stato trovato il petrolio.
Khalid gettò lo sguardo alle sue spalle. Oltre la tenda la strada era nascosta da una piccola duna e si scorgeva il tetto dei due camion Daihatsu che aveva usato per trasportare i servitori e l’equipaggiamento per la gita. Sapeva che oltre i camion c’era una lunga fila di Mercedes limousine, con gli autisti che aspettavano pazientemente che i loro passeggeri viziati finissero di divertirsi. Non disprezzava i suoi ospiti per il fatto che erano ricchi e privilegiati, anche lui era come loro, ma provava una fitta di disappunto perché nessuno di loro sembrava condividere il suo amore per la loro terra, quella terra che aveva regalato loro lo stile di vita opulento a cui ormai erano assuefatti.
La terra. Khalid si voltò, ignorando i gesti di saluto di alcune delle donne presenti. La terra che non lasciava intravedere la ricchezza che custodiva.
Gli Emirati Arabi Uniti avevano conosciuto tre momenti di grande prosperità: il primo quando erano diventati il più importante produttore di perle del mondo; il secondo quando sulle loro coste si era sviluppata la pirateria; e il terzo, quello attuale, legato alla loro riserva di petrolio, tra le più grandi del mondo. Khalid Al-Khuddari era consapevole che i trentadue miliardi di barili di petrolio intrappolati sotto la pianura costiera e nelle acque poco profonde della piattaforma continentale degli Emirati non erano poca cosa. Sapeva che il giorno prima il prezzo del greggio Brent era arrivato a quasi un dollaro e mezzo, e questo si traduceva in settecento miliardi di dollari sepolti nel deserto.
Quella ricchezza era sparpagliata nelle tasche di duecentomila cittadini originari degli Emirati, piazzandoli al secondo posto nella classifica mondiale del reddito pro-capite.
Khalid era aggiornato su quelle cifre e sapeva cosa significavano, perché era il Ministro del petrolio di Abu Dhabi e il rappresentante ufficiale degli Emirati all’OPEC. Anche se tutti e sette gli sceiccati che compongono gli Emirati Arabi Uniti avevano il loro Ministero del petrolio, Abu Dhabi faceva la parte del leone ed era l’unico ad avere il peso politico per poter entrare nell’OPEC. Dopo il Kuwait e l’Arabia Saudita, gli Emirati possedevano più petrolio di qualsiasi altra nazione del cartello e quindi detenevano un forte potere nel determinare la linea politica e i prezzi. Da qualche tempo quel potere e quella responsabilità erano stati riposti sulle spalle di Khalid in seguito alla morte prematura per cancro ai polmoni del precedente Ministro del petrolio di Abu Dhabi.
La sua ascesa a una carica tanto elevata era estremamente inusuale, e non solo per i suoi 38 anni, ma soprattutto perché Khalid non era un membro della famiglia reale di Abu Dhabi, e non faceva nemmeno parte della tribù del principe ereditario Shaik. Khalid apparteneva al popolo dei nomadi del deserto, i beduini, che non conoscono altri confini se non quelli tracciati dai loro greggi di capre e dai cammelli. Non avevano vincoli di fedeltà o di obbedienza verso nessuno a parte il loro stesso popolo e la Sharia, la legge dell’Islam.
Il padre di Khalid non aveva obblighi verso nessuno, ma il regnante di Abu Dhabi era in debito con la famiglia di Al-Khuddari per il contributo che aveva dato durante i primi anni di indipendenza degli Emirati dalla Gran Bretagna. In virtù di questo Khalid aveva ricevuto un’educazione europea, a Eton, a Cambridge e alla LSE, London School of Economics, e quando era tornato nel suo paese la sua intelligenza vivace e le sue doti di abile negoziatore gli avevano spianato la strada per diventare Ministro del petrolio.
La morte del precedente Ministro, sopraggiunta poco dopo che il Presidente degli Stati Uniti aveva annunciato la sospensione delle importazioni di petrolio, aveva scaraventato nel caos l’intero Ministero. I membri della vecchia guardia si scontrarono con le nuove generazioni di tecnocrati cresciuti nell’opulenza generata dal petrolio e privi di qualsiasi percezione della povertà che aveva attanagliato l’intera regione prima della seconda guerra mondiale. Alla fine venne presa la decisione di affidare l’incarico a qualcuno di esterno alla famiglia reale, qualcuno che fosse slegato dai conflitti interni.
Khalid capì che il debito nei confronti di suo padre era stato saldato e che da quel momento era lui a essere in debito con la famiglia reale di Abu Dhabi, una responsabilità di cui si fece carico con serietà, non solo nelle sue funzioni di Ministro del petrolio, ma anche come membro onorario della famiglia. Era per dare dimostrazione di quell’appartenenza che aveva organizzato quella battuta di caccia, più che per crearsi l’occasione per dedicare un pomeriggio a una sua grande passione.
“Signori” disse parlando al di sopra della sua spalla muscolosa, mentre continuava ad accarezzare il petto del falco incappucciato. “Perché non vi avvicinate? Così vi godrete meglio lo spettacolo.”
Una ventina di uomini seduti a una lunga tavolata si alzarono gettando i tovaglioli stropicciati sulle sedie e suscitando sommesse risatine da parte delle loro mogli e fidanzate. Per alzarsi, il Ministro del petrolio di Ajman dovette essere sollevato da due robusti inservienti. Hasaan bin-Rufti pesava almeno duecento chili e il suo corpo era una massa informe. Il collo spariva sotto i rotoli di grasso che penzolavano simili al doppio mento dei buoi. Le sue mani sembravano guanti da chirurgo gonfiati fino a farli scoppiare, e nonostante avesse la carnagione di un semita, la pelle era bianca per la pressione che lo strato adiposo esercitava dall’interno. Il sudore e il grasso lo rendevano lucido come certi vermi e l’abito bianco che indossava era grande quasi quanto la tenda. Mentre avanzava sulla sabbia il grasso ballonzolava come un dolce di gelatina.
Khalid notò che la mascotte psicopatica di Rufti, Abu Alam, non era presente. Le sue fonti gli avevano comunicato che Alam sarebbe stato all’estero per qualche tempo, e siccome la rete di spie di cui Khalid disponeva era la più efficiente d’Europa, ma non era riuscita a individuare quell’algerino nato in Francia che si faceva passare per un musulmano fanatico, Khalid sospettava che si trovasse da qualche parte negli Stati Uniti.
Mentre gli uomini si avvicinavano, con Rufti in fondo alla fila che arrancava ansimando, Khalid alzò una mano per farli fermare a una quindicina di metri. Se si fossero avvicinati di più avrebbero distratto il falco.
Sahara era stata allevata dall’uomo sin dai suoi primi giorni di vita, prima che cambiasse il piumaggio e prima che imparasse a volare. Khalid aveva diversi uccelli con cui cacciava, la maggior parte dei quali erano falchi selvatici catturati da adulti e quindi molto più difficili da educare, ma la sua preferita era Sahara, non solo per il suo coraggio e per la sua smisurata fedeltà, ma anche perché era il primo falco che Khalid aveva addestrato quando era tornato dall’università. Sahara stava invecchiando, era quasi troppo vecchia per cacciare, ma occupava ancora un posto speciale nel suo cuore.
A un centinaio di metri, in pieno deserto, due assistenti all’ombra di un albero rinsecchito aspettavano accanto a una grossa gabbia di plastica e di metallo. All’interno c’era un’otarda, un grande uccello da selvaggina, grigio con il dorso striato di nero. Era di origine europea, portato in Medio Oriente appositamente per essere cacciato. Con un’apertura alare di un paio di metri era molto più grande delle specie endemiche del Golfo.
Khalid si rivolse ai suoi ospiti in inglese, poiché erano presenti anche molti occidentali. “Affinché sappiate ciò che sta per succedere” disse “quando darò il segnale ai miei uomini, loro faranno uscire la preda, che volerà dritta verso di noi. Non fatevi spaventare dalle sue dimensioni, non riuscirà mai ad arrivare fino a qui. Siete pronti?”
Tutti annuirono ansiosi. Forse avevano in parte dimenticato le loro origini, ma la scintilla dello spirito dei loro antenati bruciava ancora dentro di loro. Lo si vedeva dai loro occhi e dalla tensione vigile della testa e delle spalle. La ricchezza non era riuscita a cancellare i solchi lasciati nel loro cuore da centinaia di generazioni cresciute nel deserto.
Khalid spostò lo sguardo e vide che Hasaan Rufti si stava palesemente annoiando e che i suoi occhi da suino guizzavano continuamente verso le pietanze rimaste sui tavoli.
Nessuno si accorse del segnale, un impercettibile scatto del polso: la gabbia si aprì all’improvviso e ne uscì un’enorme sagoma che si alzò in volo dispiegando sul deserto le sue ampie ali. Il suo movimento sollevò la sabbia fino a quando non fu a cinque metri di altezza. Nonostante le dimensioni, era evidente per tutti che non ci sarebbe stata competizione nella caccia, poiché la velocità del falco era leggendaria e l’otarda stazionava in aria con la goffaggine di un aereo sovraccarico.
Il grosso volatile non vide gli uomini immobili, o scelse di ignorarli perché troppo ansioso di fuggire dalla gabbia. Si diresse immediatamente verso Khalid e il piccolo falco appollaiato sul suo braccio. Khalid aveva studiato un sistema per scappucciare il falco e slegare i lacci con un unico gesto, così poteva sorprendersi ogni volta nel vedere la rapidità con cui Sahara individuava il bersaglio e si librava in volo per cacciarlo. Più veloce di qualunque essere umano, vide l’otarda e partì, con una spinta così improvvisa che spostò lateralmente il braccio di Khalid.
Khalid aveva calcolato i tempi alla perfezione. Appena vide il falco l’otarda virò in aria, maldestra nel disperato tentativo di fuggire mentre Sahara le si avventava contro. Gli uccelli erano a una trentina di metri dagli spettatori, tesi nel fascino morboso della collisione inevitabile. Un paio di loro si abbassarono d’istinto quando videro i due corpi avvicinarsi a mezz’aria. Ma non ci fu scontro.
Così come i gufi e altri uccelli cacciati dai falchi, l’otarda aveva a disposizione qualche movimento, e mentre Sahara contraeva il corpo per poi colpirla con gli artigli, l’otarda si rigirò in aria, torcendosi e sollevandosi di quei pochi centimetri che bastavano per assicurarsi che il rapace mancasse il colpo. Come un pilota da combattimento, l’otarda cercò di portarsi in alto, colpendo l’aria con forza. Sahara si voltò nell’istante in cui si accorse che l’otarda era ancora in aria e si lanciò nell’inseguimento.
Quel tipo di caccia era il sogno di tutti i falconieri, e aveva emozionato per secoli gli uomini che guardavano i loro falchi salire in volo disegnando spirali che accerchiavano lentamente la preda in modo da raggiungerla senza allontanarsi dal padrone. Mentre osservava Sahara scomparire nel cielo, Khalid sentì la presenza di un legame speciale non solo con i suoi antenati, ma anche con il suo falco.
Sahara raggiunse l’otarda in pochi istanti e la oltrepassò, volando così in alto che da terra era diventata invisibile. Quando fu al culmine della sua spirale, fece una brusca virata e si tuffò, raccogliendo il corpo e trasformandosi in una bomba diretta contro la lenta otarda, con le membrane delle narici che riparavano i polmoni dall’aria che entrava a cento chilometri l’ora. Era un quinto della sua preda in termini di dimensioni, ma sfrecciava verso il basso con il coraggio che contraddistingue la sua razza.
L’impatto non produsse alcun suono, ma gli spettatori lo videro da terra. La sciabolata di Sahara squarciò il dorso dell’otarda con una tale precisione che le ali cedettero e si ripiegarono su loro stesse. L’uccello iniziò la sua caduta, piombando a terra in un mucchio sgraziato di ossa fracassate, piume e sangue.
Khalid non aveva bisogno di ricorrere al logoro che teneva legato al polso per far tornare Sahara: era già in volo verso di lui prima ancora che l’otarda toccasse terra, e atterrò con grazia sul suo braccio, dissimulando la potenza e la furia mostrata pochi istanti prima. Khalid le lasciò il tempo di sistemarsi le lunghe penne delle ali e poi le rimise il cappuccio e i lacci.
Dal gruppo di uomini giunse un applauso fragoroso, a cui si aggiunsero le acclamazioni delle donne, dietro di loro. Sahara si pavoneggiava ed emetteva un verso sommesso, come se sapesse che quell’ovazione era per lei.
“Ora ho bisogno di un po’ di tempo, mi ci vorrà una mezz’ora. Perché non raggiungete le signore e non vi avviate verso la mia casa nell’oasi di Al Ain?” disse Khalid rivolto ai suoi ospiti.
Lo spettacolo era finito e gli uomini erano ansiosi di andarsene. Nessuno di loro si era offerto di restare ad assistere Khalid mentre finiva il lavoro con il falco. Ecco come funziona oggi, pensò, l’America e l’Europa ci hanno insegnato a cercare gratificazioni istantanee, abbinandole a tempi di concentrazione più brevi di quelli di un bambino.
“Ministro Rufti” disse tenendo gli occhi incollati al Ministro di Ajman, il più piccolo degli Emirati, “perché non facciamo due passi?”
Hasaan bin-Rufti capì che più che di un invito si trattava di un ordine, ma tentò lo stesso di defilarsi. “No, amico mio, grazie.” La pressione del grasso contro le sue corde vocali dava alla sua voce un timbro innaturalmente acuto. “Devo partire per tornare ad Ajman. Domani ci sarà un incontro importante con il principe ereditario ed è richiesta la mia presenza. Sono costretto a declinare la sua squisita ospitalità.”
“Venga a fare due passi.” La voce di Khalid colpì come una frustata.
“D’accordo, andiamo” disse Rufti arrancando penosamente.
Per Khalid, la maggior parte degli invitati a quella gita erano amici o almeno buoni conoscenti legati al lavoro, con l’unica eccezione di Hasaan bin-Rufti. Nessun altro uomo rappresentava con altrettanta chiarezza tutto quello che Khalid odiava del suo paese così come era diventato. Rufti era trasandato, avido e ambizioso fino all’estremo, ed era l’avidità di Rufti che aveva spinto Khalid a invitarlo. Quella chiacchierata informale era il vero motivo per cui aveva organizzato la battuta di caccia.
Aspettò che Rufti gli si affiancasse trotterellando, quindi svoltò, e camminando nel deserto si diresse verso il punto in cui gli assistenti aspettavano accanto alla gabbia dell’otarda. Percependo la tensione che c’era nell’aria, Sahara allungava continuamente la testa di qua e di là, come se attraverso il cappuccio volesse scrutare l’orizzonte in cerca di una nuova preda.
“Il tuo falco è veramente incredibile, non ho mai visto niente del genere.” Rufti cercava di rompere il silenzio, ma la sua voce lasciava trasparire tutto il suo nervosismo. Khalid rimase silenzioso fino a quando raggiunsero gli assistenti, senza neanche voltarsi a controllare la figura che gli arrancava accanto. Da una gabbia più piccola che era stata tenuta nascosta, uno degli inservienti tirò fuori un grosso piccione grigio, come quelli che si vedono nei giardini pubblici delle città di tutto il mondo. Più che grosso, il piccione era grasso, con un petto smisurato e movimenti della testa indolenti e pesanti.
“Ho pensato che avrebbe gradito un’altra dimostrazione dell’abilità del mio falco, un po’ meno tenera di quella che ha visto.” Khalid si rivolse a Rufti con un sorriso complice. “La caccia di poco fa è stata volutamente contenuta per via delle signore, ma qui siamo tra uomini, no? Penso che si divertirà… adesso si fa sul serio.”
Udendo quelle parole Rufti si rilassò. La tensione gli scivolò via dalle spalle e una valanga di tessuti flaccidi gli rotolò lungo le braccia e la schiena. Rise nervosamente, ma rispose cercando di darsi un contegno: “Sapevo che la falconeria è uno sport cruento e avevo intuito che lei si era trattenuto.”
Khalid rise con lui e condivisero un momento di complicità tra uomini. “Le piacerebbe se le facessi liberare il piccione?” Vide lo sguardo di disgusto sul volto di Rufti e aggiunse subito: “È considerato un onore, sa.”
“Con piacere.” Rufti accettò nonostante provasse una certa ripugnanza. “Cosa devo fare?”
L’assistente mise il piccione nelle mani di Rufti, controllando che quelle dita simili a salsicce tenessero fermo l’animale. Il corpo del piccione era grassoccio e così morbido che le dita dovettero premere sulla carne prima di incontrare la resistenza delle ossa. Khalid tolse il cappuccio a Sahara ma lasciò legati i lacci alle zampe. Il rapace incollò i suoi occhi neri e impenetrabili sul piccione con uno sguardo che sembrava colpire fisicamente l’uccello.
“I piccioni sono animali davvero intelligenti” disse Khalid rivolgendosi a Rufti ma con lo sguardo altrove, e la sua voce aveva lo stesso effetto paralizzante degli occhi del falco. “Mangia solo quello che gli serve per sopravvivere. Solo se trovano abbondanza di cibo e se non ci sono predatori nei paraggi a volte esagerano e si ingozzano. Questo abbiamo dovuto nutrirlo a forza. Sembra che l’obesità sia riscontrabile solo negli esseri umani.”
Il volto di Rufti si fece pallido. Era stato nervoso fin da quando aveva accettato di unirsi a Khalid, ma ora era terrorizzato. Aveva colto il collegamento tra se stesso e il piccione sin dalle prime battute, ma non c’era nulla che potesse fare per sottrarsi. L’ultima delle limousine se n’era andata qualche minuto prima, portandosi via la sua ultima possibilità di fuga. Erano rimasti solo i due camion che dovevano portare Khalid e i suoi assistenti alla festa che aveva organizzato ad Al Ain.
“Penso che…”
“Non dica una parola.” Khalid si voltò di scatto portandosi faccia a faccia con Rufti, facendo quasi perdere l’equilibrio al falco che teneva sul braccio. “È il momento della caccia. Spero che questa povera creatura riesca ancora a volare. Lo vedremo subito.”
Rufti era insicuro e spaventato. Avvicinò il piccione al petto, come se la sua sopravvivenza e quella dell’animale fossero collegate. “Non credo di voler assistere.”
“Lo liberi!”
Senza pensarci, Rufti ubbidì.
Il piccione lasciò le sue mani volando goffamente verso l’alto, sollevandosi in aria con la sola forza della volontà. Khalid sciolse immediatamente i lacci e Sahara si alzò in volo. La tecnica di caccia classica prevede che il falco si alzi in volo e sfrutti la sua formidabile picchiata per avventarsi sulla preda, ma Sahara ignorò quell’istinto. Il piccione era così lento e rintontito che lei lo raggiunse da dietro, coprendo la distanza che li separava con pochi battiti delle ali e a una velocità impressionante. Il piccione sentì il falco che si avvicinava, ma non aveva né la forza né la capacità di modificare il suo percorso per sfuggire alla caccia.
Sahara stese le zampe in avanti, sollevando gli artigli tenendoli pronti a colpire. Nel momento dell’impatto, si rigirò leggermente spezzando il corpo del piccione in due metà sanguinolente che lasciò subito cadere con disprezzo. L’inseguimento era durato sette metri, tre secondi e mezzo.
I due pezzi del corpo del piccione atterrarono sulla terra del deserto con un tonfo sordo, lanciando spruzzi di sangue subito assorbiti dalla sabbia arida. Sahara si avventò sull’uccello morto, smembrandolo con il becco e gli artigli, riempiendosi il gozzo di brandelli di carne mano a mano che li strappava dalla carcassa. Khalid la ignorò, lasciando che si saziasse. Si voltò verso Rufti, che era visibilmente scosso da quella carneficina.
“Persino un uomo con un’intelligenza limitata come la sua dovrebbe arrivare a capire il significato di questa scena. Qui non ci sono testimoni. I miei assistenti sono membri della mia tribù e non riferirebbero una sola parola, qualsiasi cosa dovesse succedere. Non pensi che non sarei capace di ucciderla in questo stesso istante.
“È vero, faccio da poco questo lavoro, Rufti, ma mi sono assunto questa responsabilità molto più seriamente di quanto lei possa pensare. Mi sono impegnato a studiare approfonditamente il mercato del petrolio degli Emirati. Ho incontrato centinaia di impiegati, dagli alti dirigenti fino agli operai delle piattaforme. Osservo tutto e comincio a capire tutto. Non molto tempo fa ho ricevuto dei rapporti che non mi sono piaciuti, riguardanti dei capitali entrati in questo paese sotto forma di concessioni per l’esplorazione, ma le operazioni non sono ancora iniziate. So di visti di entrata e di uscita fatti a nome di persone che non esistono, e ho sentito voci che parlano di un complesso recintato costruito in pieno deserto nel suo paese, Ajman, in una zona in cui nessuno avrebbe motivo di insediarsi.”
Khalid fissò Rufti e notò una scintilla di sfida accendersi negli occhi del grassone. In quella scintilla era racchiusa la sua vera personalità, poiché nonostante l’aria da stupido, nel cuore di quel corpo ingombrante si nascondeva una grande forza. Forse non in quel momento, non in quelle circostanze, ma Hasaan Rufti era un uomo molto pericoloso.
“Undici mesi fa, subito dopo l’annuncio del Presidente degli Stati Uniti, lei è stato visto a Istanbul insieme a un uomo di nome Kerikov, ex alto funzionario del KGB. Non molto tempo dopo un fiume di soldi ha iniziato a inondare il Ministero del petrolio di Ajman, come se lei fosse diventato improvvisamente ricco. Entrambi sappiamo che Ajman non ha petrolio, ma il vostro ministero oggi ha un bilancio di trenta milioni di dollari in fondi non rintracciabili. Da dove arrivano quei soldi, Hasaan? Sei troppo stupido per aver avuto un’idea tutta tua, quindi voglio sapere chi sta finanziando quello che hai in mente di fare, di qualunque cosa si tratti.”
Rufti aprì la bocca per parlare, ma Khalid lo zittì all’istante. “Stai zitto. Non dire una parola. Qualsiasi cosa tu stia per dire è una menzogna, perciò risparmia il fiato.
“Data la tua posizione nel governo e l’incertezza del periodo, sappiamo entrambi che non posso richiedere un’indagine ufficiale, ma è bene che tu sappia che per me la questione non finisce qui. Oggi più che mai gli Emirati e l’OPEC devono fare fronte unico davanti al mondo. Sappi che mi batterò contro di te in qualità di Ministro del petrolio degli Emirati Arabi Uniti, Rufti. Mi batterò contro di te in qualità di amico della famiglia reale, e mi batterò contro di te in qualità di uomo che crede nella giustizia. Ritieniti avvisato. Qualsiasi cosa tu stia tramando, fallirà.”
Khalid si voltò per andarsene, ma si girò per dirgli ancora qualcosa, mentre Rufti esitava, ammutolito.
“Ora, io e i miei due cugini ce ne andremo. Quando arriveremo ad Al Ain manderò un mezzo a prenderti per portarti al tuo importante incontro ad Ajman. Ci vorrà circa un’ora perché l’auto sia qui. Sarà l’ora più lunga della tua vita. Usa questo tempo con saggezza. Rifletti su quello che ti ho detto, perché, se la prossima volta che mi parlerai, le tue spiegazioni non mi convinceranno, non ci sarà nessun mezzo che verrà a prenderti.”
Khalid pronunciò quelle ultime frasi da sopra la spalla, mentre lui e i suoi parenti attraversavano lo spiazzo arido per raggiungere i camion. Rufti tentò di seguirli, ma la sua mole spropositata lo rallentava al punto di farlo cadere. Si fermò, guardando la figura agile di Khuddari che scivolava sul deserto, con il falco al braccio, affiancato dai beduini avvolti nei loro abiti fruscianti.
Quando il rumore dei motori venne inghiottito dal vuoto del deserto, Rufti rimase immobile per alcuni interminabili minuti. Quando finalmente la rabbia svanì e lui fu di nuovo in grado di riflettere, un sorriso malsano arricciò la pelle e il grasso sui suoi zigomi. “Troppo tardi, Khalid Al-Khuddari. Caronte è ormai giunto al suo approdo ed è pronto ad attraversare lo Stige, il fiume nero, con il suo passeggero, l’anima degli Stati Uniti. Non saprai mai chi gli ha pagato il pedaggio, perché sarai il primo a morire.”